La solitudine professionale colpisce 8 lavoratori su 10
18/08/2023
Il ruolo delle aziende per arginare il fenomeno.
La solitudine professionale è definita come la “carenza relazionale percepita nel luogo di lavoro”, che si traduce in sintomi di ansia, depressione, burnout e riduzione della motivazione, e che può portare alle “grandi dimissioni” o al “quiet quitting”.
Un fenomeno che in questi ultimi anni, tra smart working e uso massiccio della tecnologia, ha ridotto notevolmente i rapporti tra colleghi e ha incrementato il fenomeno.
Secondo un recente report condotto dall’Osservatorio della content factory di Bip, in collaborazione con il Centro di eccellenza Human Capital, che ha intervistato un campione di 355 persone di varie seniority e competenze, ben 8 professionisti su 10 hanno sperimentato la solitudine sul luogo di lavoro, soprattutto da coloro che hanno appena iniziato il proprio percorso professionale o che si trovano nel mid-level (tra i 3 e i 5 anni di esperienza).
La solitudine professionale può avere vari impatti nei contesti organizzativi, tra cui una diminuzione della produttività, un aumento del turnover, una bassa soddisfazione dei collaboratori, una mancanza di innovazione e una bassa reputazione dell’azienda.
Secondo la ricerca, il 40% degli intervistati indica il lavoro da remoto come la causa principale della solitudine professionale in quanto annulla i rapporti sociali, mentre il lavoro ibrido (5%), risulta essere la modalità meno impattante perché mantiene l’ufficio come luogo di socialità e di incontro.
Le relazioni in sé però non sono sufficienti, devono essere qualitative: il 30% indica infatti come causa della solitudine professionale i rapporti con il proprio team, mentre il 22% quelli con i propri manager. Per il 25% degli intervistati invece la fonte del malessere risiede nella cultura aziendale, percepita come poco inclusiva e partecipativa, troppo competitiva e basata unicamente sulla performance.
La solitudine anche i manager, in quanto quotidianamente al centro di richieste e aspettative da parte della linea gerarchica, dei collaboratori e dei colleghi.
Il report evidenzia il ruolo fondamentale che hanno le aziende nell’affrontare seriamente questo fenomeno e attivarsi per creare un ambiente di lavoro stimolante, accogliente e socialmente coinvolgente.
È infatti necessario creare un ambiente in cui ogni lavoratore si senta coinvolto nella costruzione di un obiettivo aziendale comune e valorizzato per le sue capacità che lo contraddistinguono. Per questo oggi, secondo gli autori del report, bisogna puntare al concetto di work-life integration: cioè evitare di considerare il lavoro e la vita privata come due piatti di una bilancia, che di fatto non si incontrano mai, ma di concepirli come un tutt’uno integrata nella vita degli individui.
Per adottare questo approccio, le aziende devono essere disposte a modificare la loro cultura e le loro politiche, per prendersi cura dei dipendenti e delle loro esigenze che cambiano nel corso della vita; d’altra parte i lavoratori sono chiamati a una maggior consapevolezza della loro responsabilità nel contribuire al raggiungimento degli obiettivi aziendali.
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